Se pensando alle opere di goldoniana memoria ci torna alla mente la “Bottega del caffè” anche i fumetti ci ricordano che il caffè è spesso un protagonista assoluto.
Il caffè è un intenso piacere per i sensi e per l’intelletto ma riveste anche una valenza simbolica. Nel 1700 è già un simbolo: a Parigi, a Londra e a Venezia le caffetterie sono frequentate da Voltaire, Diderot, Defoe, Casanova e Goldoni che, bevendo caffè fumante, discutono di temi illuministi. Anche nel terzo millennio l’aromatica miscela occupa sempre un ruolo di primo piano, sia come elemento di socializzazione e di relax che di comunicazione.
dal Blog ” Sono fumetti: Segni e passioni nei fumetti ” di Marco D’Angelo
sul magazine online ” Lo Spazio Bianco “
Caffettiere a fumetti
Prendiamo un oggetto di uso comune, quale una caffettiera. Banalmente, già le differenze di raffigurazione dei tre maestri del fumetto (Alex Raymond, Hergé e Magnus) ci dicono di come gli oggetti contribuiscano all’allestimento del mondo finzionale, caratterizzando l’epoca degli eventi, definendo il contesto sociale in cui si muovono i personaggi, etc.
Quando, per esempio, a partire dal 1975, sulle pagine di “AlterLinus”, apparve Alack Sinner di Carlos Sampayo e José Muñoz, la novità eclatante delle storie di questo malinconico investigatore hardboiled – oltre che nel tratto, nel montaggio, nei dialoghi – era anche nella qualità degli oggetti quotidiani esibiti nelle vignette.
Ci sono portacenere stracolmi, lampade dozzinali, sveglie consunte, specchi anonimi e, soprattutto, un wc, destinato a fare epoca per il fumetto quanto l’orinatoio di Duchamp nell’arte. Siamo di fronte al primo (anti)eroe dei comics che si mostra ai lettori mentre fa pipì e che – per restare all’oggetto da cui siamo partiti – spende diverse vignette con la caffettiera in mano, perché:
Aspettare prendendo il caffè, più che una cosa saggia, a volte è l’unica alternativa…
Ovviamente ci sono caffettiere e caffettiere. Ecco, allora, che in Paperino e il diritto di successione (1965), scritta da Rodolfo Cimino e disegnata da Romano Scarpa, acquista un valore particolare il fatto che Paperino, a Paperopoli, utilizzi una caffettiera napoletana (il modello da capovolgere durante la preparazione del caffè).
L’emozione della caffettiera
In questo senso, mi viene in mente una striscia di Andrea Pazienza su “Frigidaire”, Giorno (1981), in cui la Moka è disegnata con una perizia grafica che sarebbe piaciuta a Alfonso Bialetti, suo inventore, e al fumettista Paul Campani, autore del celebre omino coi baffi.
Pazienza – grazie a una strepitosa onomatopea grafica che “straripa” dalla vignetta – ci restituisce in maniera sinestetica, tanto il gorgoglio della caffettiera quanto il profumo intenso del caffè che si diffonde nella stanza… L’altra scelta espressiva determinante del cartoonist è quella di non definire lo sfondo alle spalle della caffettiera. Non c’è fornello, non c’è cucina, nulla che possa distrarre l’attenzione del lettore dall’oggetto stesso. Quasi una esemplificazione visiva dell’adagio dello scrittore Erri De Luca (Tre cavalli, Milano, Feltrinelli, 1999):
A riempire una stanza basta una caffettiera sul fuoco.
La “cosa” non è più solo parte della scenografia drammaturgica, ma protagonista della drammaturgia essa stessa: il racconto di un’emozione disegnata attraverso un oggetto.
La grande bellezza della caffettiera
Di tutta altra fantascienza, di tutte altre emozioni, si alimenta un’altra caffettiera, forse il più struggente oggetto che sia mai stato narrato attraverso un fumetto.
Parliamo de L’Eternauta (1957), la lunga saga in cui Héctor Oesterheld e Francisco Solano López immaginano la loro Buenos Aires (e la Terra intera) invase dagli alieni, metafora fantastica della feroce dittatura militare con cui l’Argentina, di lì a poco, si troverà a fare i conti. Ad un certo punto della storia, i due “partigiani” Juan Salvo e Alberto riescono a catturare uno degli invasori extraterrestri, solo per scoprire che egli stesso è succube di un’altra razza aliena, vera responsabile dell’invasione… Il personaggio, ormai in fin di vita, si ritrova seduto in una cucina con i due terrestri, ed è commovente la sua reazione notando una caffettiera sul tavolo.
Alieno: “Avvicinatemi quella scultura, per favore… nella grazia di quel collo vi sono secoli di arte.”
Alberto: “Non è una scultura… è una caffettiera…”
Alieno: “Ignora so cosa sia… forse un attrezzo domestico…Gli uomini si rendono conto di tutta le meraviglia che li circonda? Hanno idea di quanti mondi abitati ci siano nell’universo e che ben pochi sono quelli in grado di creare oggetti come questo?”
La vignetta centrale della tavola a fumetti, l’architrave narrativo e visivo dell’intera sequenza, è quello in cui l’extraterrestre soppesa nella mano, con autentica ammirazione, l’oggetto (e anche qui, fateci caso, come in Pazienza, lo sfondo scompare…).
La caffettiera disegnata da Francisco Solano-Lopez non è la Moka creata da Alfonso Bialetti, vera icona del design made in Italy, raccontata anche nel saggio di Chiara Alessi come “la macchinetta da caffè più fortunata della storia”. Eppure lo sguardo altro, messo in scena da Oesterheld e Solano López, eleva già questa modesta caffettiera napoletana a capolavoro dell’umano ingegno, prodotto di valore d’una intelligenza collettiva applicata alle cose. Come ha scritto Luca Vargiu, l’alieno coglie della caffettiera non solo il valore d’uso ma la valenza sociale e affettiva:
un oggetto capace di raccontare una storia…
Ciò che il fumetto esemplifica del design non è tanto – o solo – l’evidenza di una funzionalità delle cose nella nostra vita, ma il legame emozionale che finiamo per avere con le cose stesse, anche quelle, all’apparenza più banali.
Questo Blog e’ un estratto da: ” Segni e passioni nei fumetti ” di Marco D’Angelo
sul magazine online ” Lo Spazio Bianco “